State tranquilli: non sono passato al nemico, non sto parlando del carro attualmente in forza all’esercito inglese, ma del suo predecessore di oltre 60 anni fa, usato dai britannici alla fine della seconda guerra mondiale.
Che cosa possiamo dire… era un mezzo che, nelle intenzioni, era stato concepito come evoluzione del Cromwell che era sicuramente un veloce carro “cruiser”, ma era poco armato a paragone dei carri tedeschi che si trovò ad affrontare sul suolo europeo. Il Challenger, ancorchè dotato del formidabile cannone da 17 libbre, fu in realtà uno di quei fallimenti di cui sono ricche le cronache del Tank Board.
Ma andiamo con ordine e facciamoci del male un po’ alla volta…..
Quando ci si accorse che l’A27 Cromwell era si veloce ma poco armato (il solito cannone da 75 mm. per intenderci, quello che equipaggiava anche il Churchill MkVII), si pensò di equipaggiare questo stesso carro con il pezzo da 17 libbre per renderlo più performante nei confronti degli avversari tedeschi (Panther e Tigre soprattutto)
Più facile a dirsi che a farsi: il 17 libbre aveva bisogno di una torretta di ben altra importanza che non quella che equipaggiava il Cromwell (è un problema che vedremo ripetersi poi anche con il Comet, che sarà poi equipaggiato con un cannone da 77 mm. appositamente concepito), ma fu deciso ugualmente (testardi questi inglesi eh?) di procedere alla realizzazione di un carro in grado di essere equipaggiato con quest’arma.
Venne quindi adottata la torretta TOG2 (progettata dalla VM Designers) che era dimensionata in modo da accogliere il pezzo da 17 libbre e di sopportarne il rinculo. L’adozione di questa torretta, che era oltremodo pesante e sovradimensionata, costrinse a riprogettare tutti i meccanismi del brandeggio. Inoltre, i nostri furono costretti ad allargare anche la ralla di rotazione della torretta e fu quindi deciso di allungare lo scafo del Cromwell (con cospicuo aumento di peso) con la conseguente aggiunta di una sesta ruota al treno di rotolamento.
Di questo aumento di peso ne soffrirono le prestazioni, la manovrabilità e la protezione: infatti, nel tentativo di risparmiare peso furono ridotti sensibilmente gli spessori delle corazze. Inoltre le aumentate dimensioni dei singoli colpi fece si che solo 42 proiettili potessero essere stivati all’interno del mezzo, e questo anche a prezzo dell’eliminazione della mitragliatrice di scafo.
L’equipaggio era formato da 5 uomini: capocarro, conducente, cannoniere e due caricatori – uno necessario per prendere i colpi dalle riservette e l’altro per caricare il cannone.
Nonostante questi difetti, i primi esemplari comunque furono approntati per il marzo del 1944 (e per quell’epoca il mezzo era già escluso dal programma di impermeabilizzazione previsto per i mezzi destinati a sbarcare in Normandia). Inoltre per quell’epoca gli Sherman furono già adattati ad essere equipaggiati con il pezzo da 17 lbs. e si fecero carico di sopportare per primi i confronti con i carri tedeschi nelle fasi post sbarco.
A dicembre 1944 si decise di impiegare in Europa anche i Challenger che furono assegnati ai reparti esploranti nella proporzione di un Challenger ogni 3 Cromwell. I reparti che li ebbero in dotazione furono il 2 Btg. Welsh Guards (Div Corazzata Guardie), 8° King’s Royal Irish Hussars (7° div. Corazzata), il 15/19 King’s Hussars (11^ Div. Corazzata) e il 10° btg Fucilieri Polacco (1^ Div. Corazzata Polacca), ma non risulta che il mezzo sia stato impegnato in scontri significativi.
Alla fine della Guerra il mezzo fu ceduto ad alcuni paesi fra cui la Cecoslovacchia, ma fu presto archiviato nel dimenticatoio.
Il Modello
Sapevo che la Accurate Armour aveva in produzione un modello di Challenger, ma l’esperienza non molto entusiasmante che avevo fatto con il Comet della medesima ditta (bolle in punti strategici, resina fragile) mi ha fatto optare per il Challenger prodotto dalla IMA di Singapore. A prima vista la confezione era aggressivamente compatta, i vari particolari erano, di primo acchito, privi di bolle e ben dettagliati, ma mi sarei reso conto successivamente che bisognerebbe sempre poter aprire le scatole dei prodotti in resina con calma e verificare attentamente il loro contenuto. Le scatole della Ima particolarmente, sono infatti stipate di pezzi, danno l’idea dell’ordine e della compattezza, ma il fatto di non riuscire più a risistemare i vari pezzi una volta estratti dalla scatola dissuade l’acquirente (e soprattutto negoziante) dall’effettuare un controllo preliminare accurato. Se avessi verificato il contenuto, probabilmente mi sarei accorto che mancava la canna del mezzo (c’era solo il freno di bocca) e che, soprattutto, lo scafo era svergolato in maniera brutale!
Se per la canna si può ovviare (avevo in casa un paio di canne da 17 pounds della Jordi Rubio, il best a mio parere per quanto riguarda l’after market), uno scafo svergolato è una maledizione. Per fortuna, con paziente uso di phon e acqua bollente sono riuscito a riportarlo sulla retta via. Quello che non ha potuto fare il calore per paura di deformare i particolari più piccoli, è stato portato a termine con massicce dosi di profilati in plasticard a fare da tiranti interni allo scafo.
A parte questi inconvenienti, per ovviare ai quali è stato sprecato molto tempo, il montaggio scorre fluido, i pezzi combaciano abbastanza bene e non sono necessari pesanti lavori di carteggiatura. Anche i residui di fusione sono fortunatamente pressoché assenti.
Questo modello ha anche una strana particolarità: lo scafo non ha i perni per le ruote. Viene fornito un segmento di profilato plasticare tondo da 3 mm. di diametro e vengono fornite le indicazioni su lunghezza e numero dei pezzi da tagliare. Bisogna allargare leggermente le sedi di scafo e ruote per poter procedere al fissaggio, ma anche qui il lavoro fila via liscio. Un problema che mi sono trovato ad affrontare è stata la preparazione dei cingoli in resina. Non sono a segmenti premontati, ma sono maglia a maglia. Ho suddiviso quindi per mio conto la costruzione in segmenti. Se per quelli rettilinei non ci sono molti problemi, per la parte curva ho dovuto costruire una dima in polistirolo con la giusta curvatura, e ho appoggiato tutte le maglie su un fondo di nastro biadesivo, posizionandole accuratamente, per poi fissare il tutto con il cianoacrilato (Attak steso con l’apposito pennellino).
Per la colorazione ho utilizzato l’Humbrol 155 steso in due successive passate abbastanza ravvicinate nel tempo. E’ stato applicato poi un lavaggio effettuato con il Bruno Van Dyck ad olio della Maimeri diluito con il White Spirit della Winsor & Newton. Ad asciugatura completata è stato fatto un dry brushing con il colore di base. Successivamente sempre con il Bruno Van Dyck, addizionato con del nero ad olio e diluito sempre con white spirit, è stato fatto una sottolineatura di tutte le pannellature, bullonature ecc. ecc. Per dare un tocco di “eccentricità” al mezzo ho pensato di fissare ai supporti posteriori una bicicletta, usata ma funzionante, un secchio ed un paio di sacchi….frutto dell’ingegno di qualche componente dell’equipaggio.
Non sono particolarmente legato alle scrostature dei mezzi militari, specialmente se hanno poche settimane di vita e sono stati utilizzati marginalmente nel corso del secondo conflitto mondiale….quindi sono andato cauto. I figurini sono figurini con parti in resina di Resicast, Verlinden e Hornet. La base è Tiboldo.